Chi cura i gozzi?

Lo sapevate che ci sono persone speciali che si occupano di manutenere e ristrutturare i gozzi, le tradizionali barche in legno elbane? Chi sono? Ce lo racconta il nostro consigliere Giuseppe Adriani

Chi cura i gozzi? No non parliamo di problemi legati a disfunzioni tiroidee, bensì di una persona capace di “rianimare” o comunque riportare al loro stato originale le tradizionali barchette in legno che ancora gli appassionati marinesi si ostinano a conservare, utilizzandole non appena il mare lo consente per pescare un paio di totani a pochi metri dalla “Tore”.

Si tratta dei "guzzi" o gozzi, classiche imbarcazioni a remi capaci di trasportare un certo numero di passeggeri seduti su comode panche. Barche solide, spesso pezzi unici, realizzate per essere facilmente alate allo scalo, o sulla spiaggia, da due, al massimo tre persone, utilizzando i classici "parati" sotto la chiglia. Si tratta di oggetti assai robusti, ma sobri ed allo stesso tempo leggeri; vari accorgimenti costruttivi riducono all'essenziale il consumo di materiali rendendoli agili e sicuri anche in caso di "mare ostile" per un improvviso colpo di vento.

Ma quale storia c'è dietro a tutto ciò? L’origine di queste tipologie di barchette è molto antica, diciamo che sono frutto di una selezione più che secolare, grazie a scambi culturali tra le diverse sponde del mediterraneo; si tratta di scafi basati sul binomio efficacia/efficienza, ma con un occhio di riguardo all'estetica. Le cose fatte male sono spesso costose, pacchiane e poco sicure e brutte di conseguenza! Per immaginare, e quindi poi costruire secondo tutti i crismi una barca di legno (le cui dimensioni finali rappresentano un problema non secondario) occorre partire da un bel progetto, frutto di una ricerca accurata. E su questo tema della progettualità il compianto Sergio Spina è stato un grande maestro.

A livello esecutivo l'esperienza guida l'artefice di questa avventura, e lo porta a scegliere già con un paio di anni di anticipo rispetto all'inizio lavori, le essenze arboree più adatte. Viene privilegiato l’Ornello per il dritto di prua o la ruota di poppa, ma servono anche Quercia e Leccio, per la robustezza strutturale. Bagli, ordinate, madieri richiedono, appunto, legni duri ed elastici, dalle fibre compatte, scarsamente malleabili. In sostanza bisogna incentivare la natura nella propria opera, favorendo le anse o pieghe eventuali di un determinato albero i cui rami possono essere incurvati con apposite legature del “verde”, in maniera da adattarlo alla bisogna. Poi si procederà al taglio, aspettando il momento più adatto, quando le fibre (durante l’Inverno) sono meno idratate. E a quel punto occorre la pazienza di attendere la giusta stagionatura del tutto.

Ma le opere d’arte più belle, come del resto tutto ciò che viene creato dalle mani di un artigiano, richiedono prima o poi le cure di un esperto che sappia ridare lo “smalto”, e soprattutto la Sicurezza a degli scafi altrimenti destinati allo sfascio dopo decenni di uso talvolta impegnativo.

Ed ecco che compare Giovanni (lo trovate inerpicato “lassù”, per la strada della Cala) che, con la consueta ritrosia del carpentiere oberato dagli impegni, mostra un diniego categorico anche solo ad esaminare il problema del momento. Ma se riuscite a creare la giusta curiosità per quel manufatto che (lui lo ricorda senz’altro) ha una caratteristica particolare, ecco che i consigli e i possibili rimedi si sprecano… “lì occorre sostituire una tavola, mentre per l’opera viva bisogna pensare a rinterzare il tutto, aggiungendo dove necessario altro calafato”. E così via. Se non altro da questa visita si tornerà a casa arricchiti di grandi nozioni tecniche e umane. Terminologie apparentemente oscure ben illustrate da un autentico Maestro d’ascia che ha trascorso la vita impegnandosi a conservare ciò che di più caratteristico (ed oggi unico) rimane del nostro panorama (patrimonio?) marinaro.

 

 

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